Tecla e Moriana sono due delle città descritte da Italo Calvino ne “Le città invisibili”. 
La prima, città in continua costruzione avvolta in un ininterrotto cantiere. 
La seconda, città bidimensionale caratterizzata da facce opposte, una splendente, presentabile, “di facciata”; l’altra, il rovescio, nascosta, abbandonata dalla cura estetica. 
Questa serie di fotografie vuole rappresentare un ipotetico viaggio in questi luoghi attraverso alcune delle loro infinite possibili rappresentazioni per immagini. 
Viaggio che possa essere intrapreso con l’accezione data da Marcel Proust ne “Alla ricerca del tempo perduto” secondo cui “L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è”. 
Un percorso che si presta a due differenti interpretazioni del tempo. Una “evoluzionale” e progressiva scandita dalla comparsa della natura fino al suo sopravvento in parallelo alle opere dell’uomo. L’altra invece caratterizzata dal tempo circolare di un interrotto ciclo di costruzione, utilizzo, abbandono e ricostruzione.
Le città e il cielo. 3.
Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci.
Alla domanda: – Perché la costruzione di Tecla continua cosí a lungo? – gli abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e giù lunghi pennelli. – Perché non cominci la distruzione, – rispondono.
E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, soggiungono in fretta, sottovoce: – Non soltanto la città.
Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l’occhio alla fessura d’una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellature che rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. – Che senso ha il vostro costruire? – domanda. – Qual è il fine d’una città in costruzione se non una città? Dov’è il piano che seguite, il progetto?
– Te lo mostreremo appena terminata la giornata; ora non possiamo interrompere, – rispondono.
Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È una notte stellata. – Ecco il progetto, – dicono.
Le città gli occhi. 5.
Guadato il fiume, valicato il passo, l’uomo si trova di fronte tutt’a un tratto la città di Moriana, con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa. Se non è al suo primo viaggio l’uomo sa già che le città come questa hanno un rovescio: basta percorrere un semicerchio e si avrà in vista la faccia nascosta di Moriana, una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte stinte, telai di sedie spagliate, corde buone solo per impiccarsi a un trave marcio.
Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva moltiplicando il suo repertorio d’immagini: invece non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi.
CALVINO I. (1972) . Le città invisibili. Einaudi, Torino

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